Spagna: vacanza in Costa del Sol

Sono passati tanti anni da questa vacanza, ma la ricordo ancora e voglio raccontarvela. La storia è lunga e quindi segnatevi la url per poterla leggere con calma a più riprese oppure stampatela e leggetela in metropolitana andando al lavoro. Così Guido non potrà tartassarvi con le sue storie…

Vi scriverò di venti giorni in quella splendida località di mare chiamata Costa Del Sol, in Spagna. Era il 1987, se la mia memoria (datata, sì, lo so. Smettila di ridere…) non m’inganna, ed avevamo deciso di andarvi perché pensavamo di trovare pochi italiani rispetto alle altre zone turistiche spagnole. Scelta rivelatasi giusta per questo e per altri motivi.

I vacanzieri.

Eravamo io, la mia allora moglie, una mia cugina torinese (si fa per dire) e il suo ragazzo. Di quest’ultimo meglio non citare il nome. La sua attuale moglie (non si sposò con mia cugina) è gelosissima 😛
Della squadra faceva parte anche la mia auto (anzi, era l’auto della mia ex), una Lancia Prisma 1600 benzina. La ricordo perché ha avuto una parte importante.

Il viaggio d’andata

Partimmo da Milano verso Torino dove si aggregarono Anna ed il suo ragazzo. Nel tardo pomeriggio eravamo in strada verso il Moncenisio con l’idea di evitare l’autostrada (in Francia era carissima). Noi uomini davanti, le donne dietro. La Prisma era così carica che le due ragazze non si vedevano tra loro per le cose che avevano nell’abitacolo! Racchette da tennis (mai usate), spaghetti (come se in Spagna non esistesse la pasta), abiti femminili per un anno (non si sa mai…).
Per strada, sul versante francese delle Alpi, verso le 3 di mattina ci finì la benzina. Facemmo appena in tempo a fermarci in una stazione di servizio ad aspettare che aprisse.

Lungo il viaggio ci fermammo a dormire a Valencia e a Torremolinos. Stupenda, Valencia, meno l’albergo. La notte fu allietata dalla visita di uno scarafaggio (l’unico visto in Spagna) che ci fece fuggire in fretta e furia.

Cosa ricordo del viaggio? Molte cose.

La Sierra Nevada è tagliata da una strada che da Alicante (confine sud del turismo italiano) arriva a Granada senza una sola curva. Un ingegnere in passato tirò con un righello un tratto che poi diventò la strada, senza alcuna fantasia. Niente alberi, niente paesi, niente di niente salvo tanta sete, caldo e voglia di un po’ di verde dove fare picnic. La Prisma, senza aria condizionata, per fortuna fece il suo dovere e non si fermò in quell’inferno.

Ogni tanto un cartellone enorme raffigurante un toro (eh già, siamo in Spagna) appariva sul fianco di una collina.

I semafori sembravano farci dispetto. Li vedevi verde in lontananza, diventavano rosso all’avvicinarsi e tornavano verde appena rallentavi. Sembravano avercela con noi. Scoprii solo a distanza di vent’anni che servivano a far rallentare i guidatori. In Spagna si preoccupavano della sicurezza, più che di far multe e decenni prima di noi 🙂

Non incontrammo una sola galleria. Piuttosto, spesso attraversavamo una montagna tagliata per far passare la strada. Strano effetto, questi apparenti segni di arretratezza. Anche su questo, in seguito scoprii che c’era un motivo 🙂

A Granada un rapido passaggio di mezza giornata senza neanche fermarsi a vedere l’Alhambra. Negli anni a seguire ebbi a pentirmi varie volte di ciò.

A dieci chilometri da Torremolinos ci fermammo in una località sul mare di nome Fuengirola. Mai sentita prima. E tanto meno la frazione dove soggiornammo. Los Boliches di Fuengirola.

Arrivo e sistemazione

Eravamo partiti senza prenotare nulla. Gli amici ci avevano detto che la Spagna era generosa con i turisti e gli appartamenti si trovavano senza fatica. Non so oggi, ma allora fu proprio così. Due ore di domande nei vari bar della zona e saltò fuori uno stupendo appartamento, ottimamente arredato ed a prezzo accessibile persino per noi. Oddio, proprio così squattrinati non eravamo, in fondo, anche se l’abbigliamento lo faceva pensare.
Sotto l’appartamento un bel ristorante greco, a 50 metri la spiaggia (Sol y Mar, era il nome del lido), tutto attorno ristoranti, alberghi, negozi e quanto serve per sentirsi protetti e coccolati. Italiani: zero. Ottimo.

Il mare

Arrivammo il primo giorno sulla spiaggia e Vittorio, lo spagnolo gestore del lido, ci affittò per tutto il mese sdraio ed ombrelloni. Il mare era di un blu stupendo e la sabbia chiara e pulita.

Entrammo nell’acqua e per poco non ci colse un collasso di gruppo. La temperatura era prossima allo zero assoluto (-273 gradi Celsius, per chi non lo sapesse). Chiedemmo spiegazioni a Vittorio che gentilmente ci disse che il mare era caldo solo in presenza delle correnti provenienti dal Mediterraneo. “Quando torna la corrente dal Mediterraneo?” – chiedemmo e la sua risposta allegra fu “A Natale, ragazzi!”.
Non facemmo mai il bagno per tutti i venti giorni trascorsi li. Mare stupendo ma solo da guardare. Come la Madonna.

Il cibo

Ottimo. C’erano così tante varietà di prosciutto che scegliere era un’impresa. Ne provammo molti e la soddisfazione sempre massima.
Carne, panini, pesce, zuppe (strano il Gaspaccio arancione) ed in generale tutto ciò che assaggiamo ci piacquero sempre.

Visitammo anche vari ristoranti etnici. Il mio primo ristorante indiano, cinese, argentino (ottimo lo stinco di bue), greco (era proprio sotto l’appartamento). Ovviamente mai mangiammo nei ristoranti italiani.

Un particolare. La luce del giorno durava molto ed alle 22 si vedeva ancora perfettamente. Era strano cenare alla luce solare! La fame, comunque, non ci tradì mai.

A metà mese cadeva il compleanno di Anna. Se non ricordo male (piantala di ridere), mangiammo aragosta. Splendido il ristorante, di prim’ordine.

Passeggiate ed escursioni

Non eravamo partiti per farci di mare. Ogni paio di giorni si andava a vedere qualcosa.

Marbella. Stupenda città in collina, elegante, pulita, turistica e probabilmente un po’ finta. La ricordo come una sorta di cartolina ben studiata. Vi comprai un portafoglio di Nazzareno Gabrieli che usai per molti anni. Curioso il fatto che parecchi anni dopo avrei conosciuto uno degli eredi del marchio (se leggi quest’articolo, un saluto, Stefano).

Malaga. Chiamata la Perla dell’Andalusia, la ricordo, purtroppo, principalmente per gli scarafaggi abbondanti ovunque. Persino camminando per strada si doveva stare attenti a non calpestarli. Purtroppo la visitammo nel tardo pomeriggio e vedemmo ben poco. Mi riprometto di tornarvi appena posso. Sono convinto che vista con calma rivelerà tutto il suo fascino.

Gibilterra. Una curiosità. Quando arrivi alla dogana, un semaforo ti ferma ad un incrocio con una enorme strada che taglia la tua. La stranezza è che li non passano macchine, ma aerei! Chissà se è ancora così.
A Gibilterra comprai una stilografica Parker commemorativa del centenario. La uso tutt’ora e m’è invidiata da tutti i miei conoscenti.

Torremolinos. Strana città fatta apposta per chi vuole divertirsi. Si vive dalle 19 alle 7 del mattino. Per il resto, deserto.

Granada. Come dicevo, all’andata ci passammo velocemente. Al ritorno neanche quello. La cito solo per ricordare a me stesso dell’enorme cavolata fatta nel mancare una visita. Mi rivolgo a te: mi ci porti in futuro?

Marocco. Vedemmo solo il confine. Alla dogana ci fermarono, infatti, perché servivano i passaporti e noi, sprovveduti, avevamo solo le carte di identità italiana. Certo, certo, lo so che era facile prevederlo, ma mica tutti siamo stati in Kenya!

Il soggiorno

Da raccontare ve ne sarebbero tante, ma ovviamente non c’è spazio.

Mio cugino (chiamiamolo così, anche se non lo diventò mai), un giorno decise di sfoltire la barba con l’apposita macchinetta. Una cattiva regolazione ed una insana prova gli misero a nudo la pelle tagliando una striscia di capelli di due centimetri! Si faceva molta fatica a non ridere ed Anna dovette ingegnarsi con il fard per scurire la pelle…

Un bicchiere di vodka comprata per un piatto a base di penne, salmone e panna (eh si,  ero bravo in cucina già allora…) fu scambiata per acqua e versata nel lavandino. Mi toccò scendere nuovamente nel ristorante greco al pianterreno e sopportare gli sguardi incuriositi dei camerieri che si chiedevano che facessimo con questi bicchierini di vodka che compravamo uno ad uno.

Una gonna della mia ex fu rovinata dalla tintoria. Lei se li mangiò vivi e credo che ancora oggi i proprietari si ricordino della sfuriata di questa donna che non sapeva una parola di spagnolo ma che di cui si capivano chiaramente gli insulti!

Il prosciutto era ovunque. Lo appendevano ai soffitti e faceva effetto passarvi sotto nelle osterie o nelle trattorie. Ne valeva la pena, però.

Non incontrammo mai un italiano, non sentimmo mai parlare di calcio ed in generale ci scordammo persino delle nostre città. Scordarsi di Torino, poi, è facilissimo (…rumore di Fradefra che scappa per evitare i pomodori lanciati dai torinesi che stanno leggendo…)

Il viaggio di ritorno

Strano, ma ricordo pochissimo. Facemmo la strada all’inverso, ci fermammo ancora a dormire a Valencia (bellissima città barocca che prima o poi visiterò), arrivammo a Torino dove lasciammo Anna ed il suo ragazzo.

Fine delle vacanze? No. Noi proseguimmo (dopo 2800 chilometri) e scendemmo in Sicilia dopo una sosta di poche ore a Milano, giusto per cambiare i vestiti. Altri 1100 chilometri. Ci fermammo una settimana e tornammo indietro (ulteriori 1100 chilometri). Ma questa è un’altra storia.

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