La vacanza della mia coscienza

Intorno alle 18.30 esco dal mio ufficio in centro a Milano, dopo che lunghe riunioni di lavoro mi hanno fatto dimenticare chi sono, cosa voglio e cosa sono sul mondo a fare. Conta il ruolo, l’azienda, le necessità, le fideiussioni da sbloccare.

Lentamente m’incammino per la via, con la coscienza che fatica a liberarsi dalla gabbia giornaliera. I piedi, da soli, mi portano al solito bar Ambrosiano, dove un Negroni mi ricorda che fa male bere senza mangiare. Il cocktail è una scusa per mangiare gli stuzzichini o sono questi ultimi a giustificare la necessità di bere qualcosa per mandarli giù? I miei pensieri si trastullano su questo punto, indugiando, con un andamento ondulatorio che somiglia alla “sollecitazione” di una clitoride mentale e che piano piano mi fa entrare in un mondo di beatitudine.

A cosa sto pensando? A niente, a tutto. …e mi piace.

Fuori, in piazza Duomo, la luce del giorno si attenua ed un sole basso disegna sui palazzi auree colorate di rosa-arancio.
Cosa ci sarà oltre questa giornata?
Cosa ci sarà oltre quell’orizzonte?

La facciata di marmo del Duomo è illuminata da calde fasce di raggi del sole sonnolento. Da 600 anni le statue che lo circondano si stanno chiedendo perché ci fermiamo tutti i giorni a guardare la stessa scena.

Perché son qui? Perché c’ero anche ieri? È bello non dover avere necessariamente una risposta.

Mi dirigo verso il tram che mi riporterà a casa. Ormai è quasi buio. Da un parrucchiere esce musica ad altissimo volume. Molti giovani si preparano alle scorribande notturne. Le ragazze sistemano l’ultimo ciuffo ribelle. Che faranno stanotte?

Sul tram c’è molta gente, ma non me ne accorgo. Sto guardando i palazzi che tranquilli scorrono di fronte a me. Ogni finestra ha un colore diverso, un brano di vita da raccontare.
Immagino ciò che succede in ognuna di quelle case di cui le tende socchiuse lasciano intravedere uno scorcio.
In ognuna immagino una ragazza che si sistema il trucco per conquistare il proprio uomo, un ragazzo che sistema la maglietta aderente per distribuire le pieghe in un finto casual, una donna che ha deciso che il reggicalze questa notte sarà la sua arma.
Mi pare di vivere ognuna di queste storie. Mi eccito al pensiero di cosa proverà l’amico della ragazza che si sta truccando o quella che toglierà la maglietta dalle pieghe ben sistemate del ragazzo della casa prima.

È proprio buio. La luce degli interni disegna le ombre forti delle persone. Quei due sono proprio vicini. Una luce si spegne e qualche istante dopo una coppia esce per strada. Dove vivranno la loro avventura questa notte?

Vedo all’improvviso un balcone con i fiori ed un salotto dalle mura gialle con una greca rossa in alto. È casa mia. Scendendo dal tram, la mia coscienza, grata, mi ringrazia per averle concesso quest’ora di vacanza.

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Conclusione
Grazie a Piero Chiara che col suo “Cappotto di Astrakan” mi ha insegnato a mandare in vacanza la mia coscienza con una semplice corsa in tram.

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